lunedì 25 marzo 2013

Dove va Tosi (e perché Zaia va dall'altra parte)

Ha detto bene Pietrangelo Buttafuoco, venuto sabato a Verona per "sponsorizzare" la discesa in campo di Flavio Tosi come futuro leader del centrodestra: "L'Italia è come fosse nel dopoguerra. Che è peggio della guerra". Siamo circondati di macerie: non visibili, come nel '45, ma non per questo meno reali. Dopo cinque anni di crisi, l'Italia è stremata. Isole felici non ne esistono più, nemmeno al Nord, nemmeno in Veneto: le aziende chiudono, la disoccupazione aumenta. Chi ha ancora un lavoro si chiede quanto durerà: siamo diventati tutti precari. L'orizzonte si è accorciato: si pensa a sopravvivere oggi, più che a progettare il domani.  E' il dopoguerra, baby. Nel frattempo l'Italia è spaccata in tre blocchi, apparentemente inconciliabili tra loro: a Roma è lo stallo più completo, mentre il mondo va veloce e ci condanna ad essere periferia della periferia.
Questo lo sanno tutti, ma solo in pochi stanno pensando al nuovo ordine che emergerà da queste macerie. Tosi è uno di questi: che ci prenda o meno lo vedremo, di certo lui guarda a un futuro che adesso ancora non c'è. Un futuro in cui Renzi prenderà la guida del centrosinistra (o di quel che ne resta) e il centrodestra si troverà a dovergli contrapporre una figura adeguata, autorevole, possibilmente della stessa generazione: Tosi sta lavorando per essere quella persona. Un percorso in salita, quello del sindaco di Verona, per tante ragioni (ne avevo elencate alcune qui), ma tutt'altro che una scommessa al buio. Il progetto della "nuova Lega" sul modello Csu bavarese serve proprio a questo: a fornire a Tosi quella base partitica di consenso che, da solo con la Lega, non avrà mai. E la macroregione, anzi le macroregioni, sono la nuova risposta "dal basso" al federalismo che il Carroccio, nonostante le promesse, non è mai riuscito a conquistare a Roma.
In questo disegno, che postula una sostanziale dissoluzione del Pdl una volta "pensionato" Berlusconi,  la Lega (che - ricordiamolo - è il partito di Tosi) è destinata ad avere un ruolo subordinato, come dimostrano per altro i rapporti di forza del "modello Verona", dove la lista trasversale di Tosi ha tre volte i voti del Carroccio.  I leghisti lo hanno capito benissimo: e se i "tosiani" si fidano dell'intuito del loro capo, tutti gli altri invece lo temono. Anche chi, come Luca Zaia, si era sempre tenuto distante dalle "beghe di partito", ha cambiato atteggiamento. Dopo le elezioni ha usato parole di inusitata violenza (per lui) per attaccare Tosi, accusandolo del pessimo risultato del Carroccio in Veneto. E oggi è tornato a sparare palle incatenate, contro la decisione di commissariare la Lega di Venezia. Non è in scena una seconda puntata della guerra tra  "bossiani" e "barbari sognanti": detto molto brutalmente, è il primo atto di chi crede ancora che la vecchia Lega abbia un futuro e di chi (Tosi e Maroni) pensa di no. Due visioni del mondo opposte e non conciliabili, di quel che sarà una volta sgomberate le macerie.

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