venerdì 27 marzo 2015

Vinitaly: una riflessione dopo le critiche

Sono stato tra i primi a ripostare sui social network questo sfogo del blogger Alfonso Ceravola (qui anche una traduzione in italiano, interessanti soprattutto i commenti) sulle criticità di Vinitaly, non perché condivida in pieno ogni virgola, ma perché mi sembrava un buono spunto di discussione.
La cosa ha fatto il giro del web, generando un appassionato dibattito tra visitatori, operatori, semplici cittadini veronesi. Chi ci si è ritrovato in pieno ("Era ora che qualcuno le cantasse per bene a Veronafiere"), chi la giudica una montagna di banalità, ingiuste e ingenerose (ma c'è anche chi ha provato ad argomentare per bene perché simili lamentele siano esagerate).
Penso che, al netto di tutto questo, alcune cose andrebbero tenute in considerazione per il futuro di una manifestazione cara a chi abita e lavora a Verona, anche per l'enorme indotto che genera.

  1. Crisi di crescita. Vinitaly, che si appresta a festeggiare i suoi primi cinquant'anni di storia, si trova a un bivio. E' cresciuta a dismisura, per numero di visitatori e eco mediatica, imponendosi come l'unico vero evento del vino italiano. E questa, obiettivamente, è la storia di un successo. Il problema è che le aziende che ci vengono, pagando un sacco di soldi tra affitto degli stand, spese di trasferta e personale, vogliono sì essere parte di una grande kermesse, ma prima di tutto puntano a fare business. La fiera lo sa bene, ma non vuole snaturare la formula ibrida (operatori specializzati ma anche consumatori)  anche, molto banalmente, per esigenze di botteghino. La ricerca di un compromesso in tal senso, cui si è iniziato a lavorare con il cambio del calendario (domenica-mercoledì), alzando i prezzi dei biglietti e imponendo la registrazione obbligatoria, è un sottile equilibrio, che rischia di non accontentare nessuno del tutto. 
  2. Concorrenza. Mai come quest'anno si è parlato, in rapporto a Vinitaly, dell'esperienza di Prowein, anche perché in calendario si sono succedute a pochi giorni di distanza. La rassegna di Dusseldorf è molto più giovane (vent'anni) e più piccola (ma in costante crescita) ma da rassegna "regionale" per il mercato del Nord Europa (che per il vino è importantissimo) è iniziata a diventare importante anche per i buyer internazionali (che ci trovano non solo il vino italiano, sempre meglio rappresentato per altro). Vinitaly, a vedere i numeri, non ne ha ancora risentito.
    Ma non c'è da dormire sonni tranquilli perché se passa il messaggio che Verona è una specie di grande wine-bar mentre Dusseldorf un posto serio dove si fanno affari e tutto funziona a meraviglia con standard tedeschi, allora c'è veramente da rimboccarsi le maniche. 
  3. Limiti strutturali. Sia il quartiere fieristico che la città che lo ospita non sono all'altezza degli standard internazionali che gli operatori specializzati richiedono sempre più. I padiglioni in fiera sono vecchiotti, i bagni insufficienti, gli spazi comuni poco confortevoli e poco attrezzati (con ristoranti, ad esempio). Quando l'area di fronte alla fiera (ex magazzini, ex mercato) sarà completata con ristoranti, negozi e un parco pubblico, sarà un naturale sfogo per molte esigenze, ma temo ci sia molto ancora da aspettare. Molto si è fatto per i parcheggi e con i bus navetta, la situazione è migliorata rispetto a qualche anno fa. Ma anche qui: fino a che non ci sarà il parcheggio al casello di Verona Sud e il filobus collegato alla fiera, non si percepirà davvero una svolta. Poi c'è il problema annoso dei taxi, troppo pochi: ma qui è un problema non di Verona, ma dell'Italia intera. 
  4. Nuove esigenze. Molte delle cose di cui sopra hanno fatto parte del folklore di Vinitaly ma  gli operatori paiono sempre meno disposti a tollerarle. In un mondo costantemente connesso e collegato (a proposito: un wi-fi diffuso in tutti i padiglioni non guasterebbe) il battito d'ali di farfalla di uno sfogo su Facebook può fare rapidamente il giro del mondo. Una serie di situazioni spiacevoli (gli ubriachi, i bagarini, i ladri) non sono oggettivamente risolvibili dall'oggi al domani. Ma bisogna dare la sensazione a chi va a Vinitaly che ci si sta provando veramente. Magari anche con una campagna di marketing mirata, nuovi slogan, affiancati da una security discreta ma presente e pronta all'intervento. 
Ciò detto, per quanto mi riguarda, lunga vita a Vinitaly che è una delle migliori intuizioni che questa città ha avuto, dal dopoguerra in poi.

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venerdì 20 marzo 2015

Zaia e Tosi: chi paga per la campagna elettorale?

Campagna elettorale, quanto mi costi. Archiviato lo psicodramma in casa Lega risoltosi con la cacciata di Flavio Tosi, la prima vera polemica, in vista delle regionali, riguarda i mezzi per finanziare la propaganda dei candidati. A lanciare il sasso è stato Luca Zaia, il governatore uscente. Partendo con il proprio tour elettorale, in compagnia del segretario della Lega Matteo Salvini, Zaia ha detto che la sua sarà una campagna low-cost, interamente autofinanziata, senza contributi da privati. Questo per una questione di trasparenza: il governatore non intende accettare  soldi da nessuno, per non essere in nessun modo ricattabile. E ha inviato i suoi principali sfidanti, ovvero Alessandra Moretti del Pd e Tosi, a rivelare i nomi dei rispettivi finanziatori.

Più volte il sindaco di Verona è stato invitato dall’opposizione a rendere pubblici gli elenchi di chi ha fatto donazioni alle sue campagne elettorali o alla sua fondazione politica. Lui ha risposto che la privacy va tutelata ma, per dissipare ogni sospetto, ha portato tutti i documenti in procura a disposizione dei magistrati per tutte le verifiche del caso. Ma – dopo la sfida di Zaia – Tosi ha risposto per le rime. Fino a qualche giorno fa era ancora segretario della Lega Nord del Veneto. E ha rivelato che in totale, il partito ha stabilito di stanziare ben 700mila euro a favore della campagna elettorale di Zaia. Tutti soldi che vengono dal finanziamento pubblico dei partiti e sono, quindi, soldi pubblici. "Noi invece – ha detto Tosi – faremo campagna solo grazie ai contributi privati che i cittadini liberamente vorranno darci". 


Oltre alla questione dei soldi, Tosi ha iniziato anche a prendere le misure a  Zaia su altri fronti: lo ha attaccato sull’ospedale di Padova, sulle trivellazioni in Adriatico, sull’autostrada del mare. E siamo solo agli inizi di una corsa elettorale che si annuncia molto, molto vivace. 

(dalla rubrica "Il fatto della settimana" di Radio Adige) 

giovedì 12 marzo 2015

La secessione di Verona. Ovvero: dove porta la battaglia di Tosi

Si candida o non si candida? C'è chi giura di sì, anche a costo di passare come quello che ha consegnato il Veneto nelle mani della sinistra. E c'è chi - proprio per questo motivo - pensa che alla fine se ne starà in panchina.
Nell'attesa che Flavio Tosi, dopo essere stato cacciato dalla Lega, decida se scendere in campo contro Luca Zaia, si può provare a farsi anche altre domande. Per esempio: quanti voti può ragionevolmente pensare di prendere candidandosi? Non avendo noi a disposizione (e comunque non fidandoci) dei sondaggi, possiamo azzardare qualche piccola previsione, supportata dalla storia politica del nostro.
Partiamo dalle elezioni comunali.


Nel 2012 il "brand Tosi" identificato con la sua lista civica raddoppia i voti rispetto al 2007 e diventa  il baricentro della sua azione politica, con la Lega ridotta a utile orpello. Da quel momento, il sindaco si è convinto di fare a meno dei partiti tradizionali. A posteriori, quel trionfo elettorale del "modello Verona" è l'inizio della fine della sua storia nel Carroccio.


Detto che Tosi è stato piuttosto efficace a trovare consensi trasversali, quanti voti della Lega riuscirà a portarsi dietro adesso che nella Lega non c'è più?


Se l'obiettivo rimane su Verona, possiamo dire che dalle regionali del 2000 ad oggi Tosi ha massicciamente aumentato il suo peso specifico nel partito, fino a valerne oggi circa la metà dei voti. Almeno questo è quanto dicono le ultime europee.






Il problema per Tosi è che non si vota solo a Verona, ma in tutto il Veneto.


Dopo le elezioni europee l'anno scorso, molti si sono prodotti in analisi del voto, per lo più partigiane.  I fan hanno sottolineato il "grande risultato" dei centomila voti personali. Gli oppositori hanno indugiato sul confronto ingeneroso con i voti presi due anni prima alle comunali, che però è come confrontare le mele con le pere. Tanti o pochi che fossero quei voti, a mio avviso il vero dato è un altro: oltre la metà dei voti presi in Veneto, li ha presi nella sua Verona. Ciò vuol dire che nonostante sia sicuramente un volto conosciuto in ogni angolo della regione, abbia un appeal "nazionale", fuori dalla sua provincia Tosi non ha sfondato.

Questo è il campanello d'allarme più preoccupante (per lui) in vista delle regionali. Dove, bene che vada, potrà condurre in porto una "secessione" di Verona dal resto del Veneto. Con quali ripercussioni è difficile, al momento, prevederlo. 

venerdì 6 marzo 2015

Lo strappo senza ritorno di Tosi

Flavio Tosi fuori dalla Lega, in campo per le regionali pronto a sfidare Luca Zaia. Manca solo l’ufficialità ma ormai gli spazi di mediazione si sono azzerati. A meno di tre mesi dalle elezioni, si aprono orizzonti impensabili fino a qualche settimana fa. E anche Alessandra Moretti, candidata del Pd, ora spera di trarre vantaggio dai litigi in casa Lega.
Gli ultimi capitoli della saga padana sono un’escalation continua di strappi e accuse. Lunedì, Matteo Salvini ha di fatto commissariato la segreteria veneta retta da Tosi, imponendogli anche di abbandonare la sua fondazione politica se vuole restare nella Lega. Il sindaco di Verona, invece di alzare bandiera bianca, ha tirato dritto. E giovedì, dopo un pranzo tra i due contendenti che non ha risolto nulla, il consiglio della Lega veneta ha respinto in blocco tutte le decisioni milanesi. Nei fatti, è una scissione, anche se è da vedere quanti ora seguiranno davvero il sindaco.
Salvini ha detto che per lui la questione è chiusa. Tosi ha risposto che lui, a fare il segretario di una Lega commissariata, non ci resta. E che a quel punto tutte le opzioni sono possibili. A cominciare dalla sua candidatura a governatore. Sulla carta, il sindaco di Verona non ha alcuna chance di vincere e l’unico effetto che potrebbe ottenere è far perdere Zaia a favore della Moretti. Ma lui ripete che è una questione di dignità, la sua, che sente calpestata sia da Salvini che da Zaia. Il governatore, in particolare, si è opposto in ogni modo alla lista Tosi e alla possibilità che sia lo stesso Tosi a decidere i candidati della Lega.

L’indisponibilità di tutte le parti in causa a venire a patti è frutto anche della diffidenza, dei rancori e della rivalità maturati in questi anni. I nodi sono venuti tutti al pettine. E non c’è più tempo né modo, ormai, per scioglierli.
(Dalla rubrica Il Fatto della Settimana su Radio Adige)