venerdì 28 dicembre 2012

L’anno dei no


Come sarà ricordato il 2012 a Verona? L’Hellas non è tornato in serie A, Tosi ha rivinto le elezioni ma non è diventato (come molti dei suoi sostenitori auspicavano) il “Renzi del centrodestra”. Il traforo delle Torricelle è ancora un contratto senza le firme che contano, il filobus è partito, ma solo in teoria: dove sono i cantieri? Dire che non è successo nulla, tuttavia, è sbagliato: questo forse potrebbe essere considerato l’anno dei “no”, alcuni piccoli, alcuni grandi, comunque significativi:  vedremo nel 2013 quanto definitivi. Eccone una piccola summa.
5. No al parcheggio San Giorgio. Doveva costruirlo la Mazzi Costruzioni, ma il Comune – dopo alcune simulazioni di traffico insoddisfacenti – ha preferito fare marcia indietro: a novembre è stato chiuso il contenzioso con l’impresa, che ha incassato 2,5 milioni di euro dopo averne richiesti 4 (anche per altre opere mai realizzate). La Mazzi è la stessa impresa presente nei più grandi appalti in project financing di Verona (traforo, filobus, Ca’ del Bue, park ex gasometro). Recentemente, il leader del comitato anti-traforo Alberto Sperotto è stato assolto in primo grado dall’accusa di diffamazione intentatagli dal sindaco, dopo che aveva detto che a Verona gli appalti li vincono sempre “i soliti noti”.
4. No a Marezzane. L’ultimo “no” è quello del Tar, il mese scorso, che ha bocciato il ricorso della Cementirossi contro un parere della soprintendenza, contrario a trasformare la collina di Marezzane tra Fumane e Marano, in una cava di marna. Altri “no” erano arrivati prima, al progetto di ampliamento pensato dell’azienda, che prevedeva anche una ciminiera di oltre 100 metri. La vicenda di Marezzane è diventata a suo modo un simbolo della sempre più difficile conciliazione tra esigenze produttive e istanze ambientaliste, in una terra come la Valpolicella che ha scoperto tardivamente la sua vocazione come meta turistica eno-gastronomica.
3. No al Pdl. Lo ha pronunciato Flavio Tosi, chiaro e netto, all’inizio della sua campagna elettorale: poi la sua Lega Nord, ma solo dopo la rovinosa caduta di Umberto Bossi, lo ha seguito. Per il Pdl, un tempo primo partito della città, è stato uno psicodramma collettivo, con tanti suoi esponenti a migrare nella lista civica del sindaco, gli altri a far la figura degli ultimi giapponesi. Ora Tosi può governare Verona sostanzialmente da solo, il suo no al Pdl veronese è diventato un "no" all'alleanza con il Pdl nazionale (e soprattutto con Berlusconi) ma i rapporti nel centrodestra veneto sono sempre più tesi. Vedere, per credere,  i “no” più recenti.
2. No all’Autodromo. La settimana scorsa, un “blitz” non dichiarato in consiglio regionale di alcuni leghisti azzoppa l’Autodromo del Veneto: senza il suo imponente centro commerciale in deroga alla programmazione, il mega-progetto tra Vigasio e Trevenzuolo tanto caro a Giancarlo Galan (e a molti nel Pdl veronese) non può stare in piedi. L’idea era pervasa di un gigantismo d’altri tempi (e forse fuori tempo): sta di fatto che i privati ci hanno già investito decine di milioni di euro (ma servirà più di un miliardo per costruire il tutto), mentre la Provincia ha chiesto all’A22 di realizzare un casello “dedicato”: e adesso?
1. No a Ca’ del Bue. A molti, il voto del Pdl sulla moratoria agli inceneritori è parso una vendetta contro la Lega per la questione Autodromo. Se è così, lo è solo in parte perché contro Ca’ del Bue da mesi si è saldata un’opposizione molto forte che ha in esponenti del Pdl protagonisti di primo piano (come il sindaco di San Martino Buon Albergo). Anche qui, al di là di come la si pensi sugli inceneritori, il verdetto arriva quando l’iter era già in fase avanzata e l’appalto già assegnato in capo al colosso spagnolo Urbaser. Ora, comunque, è tutto fermo, in attesa del nuovo piano regionale sui rifiuti: come Godot, lo si aspetta da tempo, con sempre minor fiducia.

giovedì 20 dicembre 2012

Mandorlini punito? No, umiliato

In Cina, dai tempi della rivoluzione culturale in poi, va molto di moda l'istituto dell'autocritica: i reprobi colpevoli di aver espresso pensieri diversi da quello unico e infallibile del Partito Comunista, devono sottoporsi a una sorta di gogna pubblica in cui abiurano alle proprie idee, si pentono, chiedendo perdono, clemenza e la riammissione in società. Dopo aver letto della punizione inflitta ad Andrea Mandorlini, mi è venuto Il sospetto che i membri della commissione disciplinare della Federcalcio abbiano studiato sul libretto rosso del compagno Mao.
Il tecnico del Verona era stato deferito per le parole pronunciate prima della trasferta a Livorno lo scorso 20 ottobre. Si era detto "fiero di essere il nemico giurato" di quella tifoseria. Parole certo sbagliate, nei tempi e nei modi, tanto più che durante la gara, qualche idiota aveva pensato bene di rispondere alle provocazioni dei livornesi insultando la memoria di Pier Mario Morosini, cosa che aveva fatto vergognare un'intera città e forse pure lo stesso Mandorlini, che aveva lanciato per primo Morosini ai tempi dell'Atalanta. Da allora il tecnico ravennate non ha fatto molto per tenere il basso profilo: dopo le corna di Cittadella c'è chi, come Crosetti su Repubblica, ha avuto buon gioco a scrivere, ricordando tutte le "mandorlinate" da "ti amo terrone" in poi: "fermate il bullo della panchina"
Tutto ciò premesso mi pare davvero assurdo che Mandorlini, oltre a una multa di 20mila euro, oltre a una pesante squalifica fino al 31 gennaio, debba una volta scontata questa "ribadire in tutte le interviste pre e post gara di credere fermamente nel rispetto dei valori sportivi, almeno per le 7 successive gare effettive di campionato". Quanto gli si chiede non ha nulla di nobile: è come se dovesse camminare coperto di pece e di piume con un cartello al collo con sopra scritto "nemico dello sport". Una vera e propria umiliazione che io, nei panni del mister e del  club Hellas Verona, non avrei mai accettato (la condanna è frutto di un patteggiamento). Senza contare che ora - altro effetto perverso di questo papocchio ridicolo - si rischia pure di fare di Mandorlini un martire, e non ne ha certo bisogno. Anzi, fossi in lui chiederei asilo a Pechino.

venerdì 7 dicembre 2012

L'eredità di Re Lele

Ieri pomeriggio, al funerale dell'ex vicesindaco e assessore Roberto Uboldi, ho incontrato per la prima volta di persona Gabriele Sboarina. Sapendo che da quando ha lasciato la politica oltre vent'anni fa il fu "Re Lele" si è chiuso in un religioso silenzio, ho provato a stuzzicarlo perché mi raccontasse qualcosa di succoso:  un aneddoto tranchant della Prima Repubblica, o un particolare sconosciuto del suo decennio come guida indiscussa della città, magari un commento sul suo successore di oggi, a Palazzo Barbieri. Sapevo di trovarmi di fronte un muro, così ho provato a scalpellarlo facendo leva sull'amor proprio. "Perché non scrive un libro di memorie?", gli ho chiesto. La sua risposta, lo ammetto, mi ha spiazzato: "Un libro? E perché? Non c'è nulla di quanto ho fatto che valga la pena di essere ricordato".
Mi sono immaginato, tra vent'anni, a fare la stessa domanda a chi c'è oggi: quale sarebbe la risposta? 

mercoledì 5 dicembre 2012

Cose da fare a Verona prima della fine del mondo


Come tutti sanno, tra un paio di settimane, il 21 dicembre 2012, il mondo finirà. Lo hanno detto parecchi anni fa i Maya, ma non c’è ragione di dubitarne. Meglio quindi essere preparati e, per lasciare questa vita terrena con il numero minore possibile di rimpianti, ho provato a buttar giù al volo una lista di cose da fare assolutamente a Verona, prima che il nulla ci travolga. Vista la gravità dell’argomento, sono ben accetti suggerimenti.
- Limonare al parcheggio del percorso della salute sulle Torricelle.
- Sgommare con il freno a mano sulla neve (sperando che arrivi nei prossimi giorni: è nelle previsioni) al parcheggio dell’ex Autogerma
- Fare notte a Madonna Verona, pasteggiando a prosecco e whisky, chiacchierando non-sense con la mitica Luisa
- Importunare le coppiette di turisti alla casa di Giulietta svelando che “è tutto falso, non lo sapevate?”
- Fare le vasche in via Mazzini di sabato pomeriggio senza comprare assolutamente nulla
- Comprare qualcosa (qualsiasi cosa) al Buso di via Cappello
- Ingozzarsi di panzerotti e fritture varie dal panzerottaro di via Diaz per placare la sbornia
- Andare alle terme di Colà di Lazise scavalcando il muretto dalla strada per non pagare il biglietto
- Bigiare la scuola o il lavoro per passare la mattinata all’inquietante bar con biliardo di via Cattaneo
- Mangiare la pizza alla mensa dell’Università anche se non si è (mai) stati studenti perché è buona e costa pochissimo
- In alternativa scegliere tra   Redentore, San Matteo, La Sacrestia (via Santa Felicita), Prima Fila (corso Porta Palio): se non lo sapevate, Verona è la capitale mondiale delle pizzerie nelle chiese sconsacrate
- Imparare a memoria almeno una poesia di Berto Barbarani, che è pure il 140esimo anno della nascita, e/o leggere un libro di Emilio Salgari (150esimo della nascita)
- Intrattenersi con gli anti-risorgimentali vestiti da guerrieri delle Pasque veronesi che ce l’hanno ancora a morte coi giacobini
- Andare da Musical Box e  sbavare davanti alla parete di 50 metri piena di chitarre (solo per musicisti)
- Pranzare alla Quercia di via Tonale – primo secondo contorno dolce caffè e grappino – vedendosi presentare un conto di dieci euro
- Svenarsi (tanto tra un po’ i soldi non ci serviranno più) per il carrello dei bolliti ai Gavi
- Farsi togliere il malocchio da un esorcista, categoria che a Verona abbonda (suggerisco quello di Santa Toscana)
- Conversare  la mattina al bar con i vecchiotti già brilli che bestemmiano e si lamentano di tutto in città (salvo poi riverire il vescovo e votare Tosi)

martedì 27 novembre 2012

Gangnam e il peggio del peggio di piazza Bra


Mi ci è voluto un po’ di tempo per metabolizzare l’evento che ha contraddistinto la giornata di domenica a Verona, sia per il rilievo mediatico che ha avuto sia per la partecipazione, al di sopra delle aspettative degli organizzatori. No, non parlo delle primarie del centrosinistra. Mi riferisco al flash-mob che ha attirato in piazza Bra migliaia di ragazzi per ballare al ritmo dell’ultimo successo di un rapper coreano, Gangnam Style. Sono troppo vecchio (dentro), schizzinoso (choosy al cubo) e pessimista (i Maya avevano ragione!) per dare dei giudizi di merito, che non suonino scontati e moralisti. Piuttosto, come in occasione del concerto-evento di Celentano avevo cercato di esorcizzare il mio malessere interiore con l’elenco del peggio del peggio mai visto in Arena, così stavolta non trovo di meglio di fare lo stesso per quanto visto all’ombra dell’Arena, in piazza Bra. Ovviamente, considero Gangnam Style fuori concorso, e comunque senza l’aggravante di essere stato promosso dall’amministrazione comunale, come le cinque brutture che seguono.
5. Monumento della Pace. Due lastroni che dovrebbero richiamare il muro di Berlino, citazioni pacifiste – da madre Teresa a Kennedy a papa Giovanni Paolo II, e lo storico bacio in bocca tra Breznev e Honecker, il tutto in stile graffito ma trasudante buonismo. Il monumento della Pace realizzato dagli studenti dell’Accademia Cignaroli può essere anche una lodevole iniziativa, ma a me, ogni volta che lo guardo,   scatena dentro una guerra interiore: l'etica che fa a pugni con l'estetica e entrambe che ne escono con le ossa rotte.
4. Festival Show. Ci sono un sacco di luoghi (centri commerciali, fabbriche dismesse, piazzali di sosta per autotreni) che sarebbero perfetti per ospitare l'evento itinerante di Radio Birichina e Monella con il suo corredo di cantanti navigati (tipo Ricchi e Poveri) e volti nuovi dei talent show (da Antonino a Emma): ma perché proprio piazza Bra?
3. Capodanni. Non sono mai stato un amante dei Capodanni in piazza, anche se i fuochi d'artificio per salutare l'anno che se ne va sono un rito di passaggio che conserva un suo fascino. Certo che se per brindare  sotto gli zampilli luminosi mi devo sorbire, nell'ordine, Little Tony (2007) i Dick Dick (2008), Ricchi e Poveri (ancora loro! 2010), i Sonohra (2011) e Umberto Tozzi (2012), preferisco di gran lunga starmene a casa a sparar miccette.
2. Piazza dei Sapori. L'evento dove tutti vanno per ammirare i prodotti tipici delle varie regioni italiane, ingozzarsi degli assaggini gratis del salame di cinghiale o del pecorino stagionato, salvo poi rinunciare a comprarli (troppo cari; e poi che me ne faccio del salame di cinghiale?) per rifornirsi di bomboloni fritti dal solito ambulante scaltro che si è intrufolato nel gruppo. Però vuoi mettere mangiarli all'ombra dell'Arena?
1. Festa della Birra. Un’Oktoberfest fuori stagione (in maggio), per celebrare i 50 anni del gemellaggio con Monaco di Baviera: certo è che il tendone montato davanti alla scalinata di Palazzo Barbieri nella primavera di due anni fa, con dentro tavolate cariche di salsicce e crauti e cameriere vestite in stile tirolese a maneggiare boccali da litro, segna un punto di non ritorno. E pensare che due mesi prima, la soprintendenza aveva vietato un evento in piazza Bra della Panini (quella delle figurine) perché lo stand non era compatibile con “il sito monumentale della città”. Un rutto ci seppellirà.


lunedì 26 novembre 2012

Primarie a Verona, il falso problema degli infiltrati

In Veneto ha vinto Bersani  su Renzi: 41,18 per cento contro 36,45  per cento. A Verona situazione uguale e inversa: Renzi avanti con il 41,39 mentre Bersani si ferma al 39,87. Il sindaco di Firenze ha sfondato in provincia, specialmente nei comuni della Bassa (come Cerea) e a San Giovanni Lupatoto (terra del suo "pupillo" Federico Vantini, sindaco del paese). Bersani, invece, tiene bene nel comune capoluogo. Vista la grande affluenza, comunque diecimila persone in meno rispetto alle primarie del 2005, tutti dicono di aver vinto: vedremo al ballottaggio.
Due riflessioni al volo, però, sono d'obbligo. Primo: sento che ci sono lamentele in giro, specialmente da rappresentanti di seggio bersaniani, che puntano il dito contro gli "infiltrati": insomma, gente del centrodestra e della Lega che, per "spaccare il Pd", è andata ai seggi a votare Renzi. Come se il voto e l'appartenenza politica fosse qualcosa che è impresso nel dna delle persone, e non si potesse cambiare. A me, invece, pare normale (dico di più: salutare) che elettori portati a votare a destra - vedendo la desolazione tragicomica nel loro campo - siano portati a valutare offerte politiche differenti. Se è vero quanto ha scritto Galli Della Loggia domenica sul Corriere, l'Italia è un paese dove la cultura di "destra" è maggioritaria: ergo, se la sinistra vuole vincere le elezioni, deve presentare un'offerta politica che ne tenga conto. I casi sono due: o vince Renzi - le primarie e poi le elezioni, con i  voti del centrodestra, o vince Bersani e dovrà poi governare con i voti del centrodestra (ovvero Casini). Il resto sono chiacchiere.
Secondo: a Verona (come nel resto d'Italia) i pezzi grossi del Pd sono per la stragrande maggioranza bersaniani. Il minimo che si possa dire è che il voto di domenica segnala una distonia tra organismi dirigenti e elettori. Certo, queste sono primarie per la premiership e non un congresso di partito. Ma se il Pd vuole contare qualcosa a Verona, dove ha percentuali residuali e di fatto conta poco o nulla, non può certo fingere che non sia successo nulla.

mercoledì 14 novembre 2012

Il portavoce del sindaco: un po' di luce sulle "ombre"

Ho letto anch'io sul Fatto quotidiano on line l'articolo sul "sistema Tosi", dove si parla di "ombre" sul portavoce del sindaco di Verona. Si prende spunto dal pandemonio scoppiato in Agec dopo che Michele Croce, defenestrato dalla presidenza per le spese "non necessarie" alla sistemazione del suo ufficio, ha sollevato una serie di presunte irregolarità nell'azienda che sarebbero la vera ragione, sostiene lui, della sua cacciata. Il Fatto arriva così a parlare dell'appartamento di proprietà dell'Agec in vicolo Due Mori  dove ha vissuto per un paio d'anni il portavoce del sindaco Flavio Tosi, Roberto Bolis, pagando - si precisa - 339 euro al mese pur con uno stipendio da oltre 120mila euro (lordi) l'anno. Oggi su L'Arena (il Corriere non era in edicola causa sciopero) la notizia viene smentita: si parla di un affitto da 7.746 euro l'anno, ovvero 645 euro al mese, per un tre vani di 58 mq. Si scrive anche che la base d'asta era di 580 euro, che la precedente gara indetta tre mesi prima a 695 euro era andata deserta e che quella di Bolis era l'unica offerta pervenuta. Di chi fidarsi? A chi credere?
Premetto che non ho a mia disposizione nessuna carta segreta, nessun contratto d'affitto e nessun documento. Posso però condividere questa storiella. Una sera di un paio d'anni fa, quindi in tempi non sospetti, tornando a casa dalla redazione, trovai il portavoce del sindaco Tosi  Roberto Bolis. Abitava al tempo proprio nel famigerato appartamento di palazzo Forti, con ingresso da vicolo Due Mori. Mi invitò da lui per bere un bicchiere di vino e io accettai. Il palazzo era prestigioso, ma un po' dimesso. L'appartamento poi mi sembrò  piuttosto modesto, un bilocale con finiture standard (e bagno non finestrato, se ricordo bene). Ricordo in particolare un divano letto nel soggiorno, che poteva essere stato acquistato all'Ikea, che lo stesso Bolis si era portato da Treviso, sua città d'origine. Chiesi a Bolis quanto pagava d'affitto, mi rispose attorno ai 650 euro. Mi interessava saperlo visto  che abitavo (e tutt'ora abito) a cinquanta metri di distanza e volevo fare un confronto: la cifra, tutto sommato, mi sembrava congrua.
Ricordo chiaramente di aver pensato che il portavoce del sindaco, con lo stipendio che aveva, poteva sicuramente permettersi qualcosa di meglio. Ricordo anche di aver pensato che, al posto suo, vista la delicatezza del ruolo, io non avrei preso in affitto un appartamento dall'Agec (benché ottenuto con una regolare offerta a un'asta), ma mi sarei rivolto a un'agenzia immobiliare privata. Ma questa è una questione di sensibilità personale. 

venerdì 9 novembre 2012

Agec (e le altre): i magistrati facciano presto

A Verona non c'è stato ente pubblico che non sia finito, prima o dopo, sotto la lente della magistratura. Vent'anni fa, quando infuriava Tangentopoli, il centro della corruzione era l'Agsm: non a caso i dorotei avevano lasciato volentieri la carica di sindaco alla sinistra interna, per tenersi la carica di presidente di lungadige di via Galtarossa, dove giravano i soldi veri. Anche Amia, aeroporto Catullo, fiera, autostrada Serenissima erano stati travolti. D'altra parte funzionava come un vero e proprio "sistema": i partiti di governo (Dc e Psi) si spartivano cariche e tangenti, secondo proporzioni precise. I metodi dei magistrati potevano essere brutali, con un ricorso estensivo alla carcerazione preventiva. Poi però qualche pezzo grosso vuotava il sacco. E chi finiva nella rete non aveva molte alternative al patteggiamento, e doveva  restituire quanto preso.
Da qualche anno, qui a Verona, la magistratura è tornata a interessarsi della gestione delle aziende pubbliche, con risultati però molto diversi. L'indagine sui bilanci della fondazione Arena, gravati da un buco di milioni durante la gestione Orazi, non ha portato a nulla. Di quella sulla presunta "parentopoli" in aziende come Agsm, Amia e altre, denunciata pubblicamente da alcuni esponenti del centrosinistra che tuttavia non si erano rivolti direttamente alla procura contestando l'inopportunità di certi comportamenti e non la loro rilevanza penale,  si sono perse le tracce. Poi è arrivata l'inchiesta sull'aeroporto Catullo, aperta dopo una trasmissione televisiva in cui gli ex amministratori parlavano liberamente di spartizione di posti e assunzioni pilotate dalla politica: era il febbraio dell'anno scorso, ex presidente e ex direttore generale sarebbero indagati, ma di più non si sa. Adesso, una nuova indagine, sull'Agec, di cui si è parlato molto negli ultimi tempi perché il presidente è stato cacciato per essersi rifatto l'ufficio. Ma questa indagine con questo fatto non c'entrerebbe, si indaga invece ad ampio spettro  su appalti e assegnazione di alloggi e su tutta l'attività dell'azienda degli ultimi mesi.
Ogni volta i diretti interessati reagiscono allo stesso modo:  "massima fiducia nei magistrati". Poi però spesso le indagini si dimostrano complicate, i tempi si allungano, l'opinione pubblica (e la stampa) se ne scordano fino allo scandalo successivo. C'è davvero da augurarsi che stavolta sia diverso, che le indagini siano rapide e circostanziate, perché in giro ci sono parecchi inquinatori di pozzi e c'è un grande bisogno di chiarezza e trasparenza.

lunedì 5 novembre 2012

Caso Agec: messo in Croce troppo presto?


Mi sono espresso qualche settimana fa sul “caso Croce”, ma gli ultimi sviluppi meritano di essere raccontati. Già perché il presidente (sfiduciato) dell’Agec, l’azienda comunale che gestisce gli alloggi popolari, accusato di essersi rifatto l’ufficio a caro prezzo – e quindi subito additato come emblema della “casta” – è passato al contrattacco. La sua strategia difensiva (Croce è pur sempre un avvocato) mira a far passare, sostanzialmente, questo messaggio: quello dell’ufficio è un pretesto per farlo fuori, dopo che lui ha iniziato a mettere il naso in alcune questioni “scottanti” con l’intento di fare pulizia. Croce ha raccontato di serrature cambiate per evitare che lui potesse accedere alle stanze, ha sollevato il caso dei tanti appartamenti di pregio di proprietà dell’Agec affittati a prezzi risibili, se comparati con i prezzi di mercato, divulgando anche i nomi di alcuni inquilini eccellenti: un consigliere comunale e un consigliere di amministrazione della stessa Agec, entrambi della Lega Nord.
Mi sono passato in rassegna la pagina facebook di Croce. Abbondano i commenti dei suoi sostenitori che lo spronano: “Avanti, scoperchiamo il pentolone”, “Non mollare, mandali a casa tutti”, “Croce sei una brava persona mi raccomando tieni duro e non mollare”, “spero tu abbia la forza e i documenti per far scoppiare uno scandalo”. Interviene anche la ex consigliera del Pdl Elena Traverso, che dice “Vogliamo chiarezza”.
Nel mio piccolo, mi unisco anch’io a questo appello e spero che Croce, che ha scritto anche una lettera al sindaco Flavio Tosi (nella cui lista è stato eletto alle amministrative) ma ha le ore contate alla presidenza dell’Agec, abbia le prove per dimostrare le sue accuse. Per ora, mi limito a segnalare alcune stranezze di questa vicenda sempre più ingarbugliata, a partire dall’ufficio rifatto con 33mila euro (per non parlare di quei preventivi da quasi 50mila euro, opportunamente cestinati, pieni di pezzi kitch). A mio avviso, Croce non può limitarsi a chiamare in causa la Corte dei Conti perché giudichi la legittimità del suo operato, perché si tratta, prima di tutto, di una questione di opportunità. Ciò detto, è evidente che la questione ufficio passa decisamente in secondo piano di fronte alla (presunta) “affittopoli”: se (e sottolineo se)  quanto va dicendo Croce è vero, tutta una serie di prese di posizione (a partire dal cda di Agec che, compatto, lo ha sfiduciato) andrebbero riviste sotto un’altra luce. Al momento non ci sono abbastanza elementi per dirlo, ma il dubbio comincia a insinuarsi: e se Croce fosse stato messo in croce troppo presto?

mercoledì 31 ottobre 2012

Verona e lo sbocco al mare


Allora, è ufficiale: la grande riorganizzazione delle Province da parte del governo prevede, tra le altre cose, la fusione delle province di Verona e di Rovigo. Insomma, noi veronesi avremmo uno sbocco al mare, potremo sentirci a casa a Rosolina e, oltre all’Adige, dovremo familiarizzare con il Po (e le sue zanzare). Quelli del Polesine potranno dire di venire dalla città di Romeo e Giulietta, ammirare montagne che non si sono mai sognati e incolonnarsi anche loro, le domeniche d’estate, per una gita sul Garda. Saranno contenti, soprattutto, di non essere finiti con i padovani, che non hanno mai amato. Anche se, a onor del vero, forse sarebbero stati meglio accoppiati con Ferrara, al di là dell’argine, a cui li lega una storia e una geografia comuni. Ma Ferrara sta in un’altra regione, l’Emilia Romagna. D’altra parte, anche Brescia e Mantova sono legate a Verona da interessi economici e territoriali (la cosiddetta “regione del Garda”), ma stanno al di là del Mincio in Lombardia. Sarò ingeneroso, ma a me questo piano taglia-province ricorda un po’ quegli arroganti ufficiali coloniali che tracciavano i nuovi confini dell’Africa con il righello: non c’è una vera logica, non c’è la volontà di aggregare aree omogenee, c’è solo il mantra del taglio dei costi. Calato dall’alto, senza nessuna discussione. Ma se le Province sono enti inutili, perché non eliminarle tutte? Perché azzerare le giunte provinciali, mantenendo presidenti e consigli? Quella che poteva essere una opportunità  storica – riorganizzare il tessuto amministrativo di questa sempre più povera Italia – mi pare la solita occasione persa. Comunque, poteva andarci peggio: i dottori padovani dovranno ora sedere allo stesso tavolo dei magna-radeci di Treviso. Solidarietà.

martedì 16 ottobre 2012

Torna la Verona nera e violenta

Una Verona nera, violenta, razzista, invariabilmente legata al tifo dell'Hellas. Basta poco per riesumare lo stereotipo con cui questa città viene spesso sommariamente etichettata. L'arresto di quattro giovani di provate simpatie di estrema destra, nonché frequentatori della curva sud, per il pestaggio di un coetaneo su una spiaggia a Bardolino, diventa così l'ennesimo episodio che ci mette di fronte allo specchio deformante: e il profluvio di commenti alla notizia, sul sito de L'Arena, dimostra quanto siamo noi stessi toccati per primi, nel profondo, dall'immagine che ci è stata cucita addosso (in attesa di leggere se e come la notizia verrà ripresa su Repubblica o sul Fatto).
Ovviamente il tema di fondo, al di là dello specifico fatto di cronaca che ha più di un particolare inquietante, a partire dalla recidività di alcuni degli arrestati, è una e una sola: quanto c'è di vero in questa immagine di Verona? Non è davvero il caso di andare troppo lontano, né di fare paragoni con dolorose tragedie passate  (e penso ovviamente all'uccisione di Nicola Tommasoli) perché ogni fatto di cronaca fa storia a sé. Ma non bisogna nemmeno girare troppo attorno al problema, che ci porta dritti allo stadio Bentegodi.
Lo stadio è stato il luogo che un manipolo di persone violente e ignoranti ha eletto come palcoscenico per affermare la propria identità. Sono tifosi dell'Hellas? Certo, si definiscono come tali. Ma è come dire che gli uomini sono tutti uguali perché camminano in posizione eretta e hanno il pollice opponibile. La verità è che per queste minoranza di persone il tifo è un accessorio, un paravento, un ombrello, dietro cui portare avanti un'agenda diversa.
Per questo, secondo me, è importante che i tifosi dell'Hellas, quelli veri, si riappropino dello stadio. E' importante che là non ci sia spazio per la politica, non importa quanto estrema. E' importante poi che siano quasi spariti i cori razzisti, come avevo scritto qui, che per altro continuano ad essere di casa in altri stadi italiani (e il Padova ha appena preso una multa da 6mila euro per questo). Perché nessuna legge, tornello o tessera del tifoso potrà impedire che certa gente frequenti lo stadio. Ma basterebbe che certa gente, allo stadio, non si sentisse più a casa propria.

lunedì 15 ottobre 2012

A Verona finalmente si fa il traforo

"Ehi! Ma... sei proprio tu?"
"Già, in carne ed ossa. Che sorpresa, eh?"
"Cristo santo, ma non ci vediamo da quanto? Vent'anni?"
"Venticinque. Manco da Verona dal 2012, mi pare".
"Come vola il tempo. O no?"
"Beh, si insomma. Capelli bianchi, pancetta, diabete. Le solite cose. Qui come va? Che si dice?"
"Pare che facciano il traforo. Il traforo delle Torricelle".
"Ah, ma dai. E' un po' che se ne parla, mi pare".
"Eh si. Ma stavolta parte davvero".
"Beh, speriamo. Sarebbe ora. Peccato che in macchina non ci va più nessuno"
"Ti credo. Vent'anni fa la benzina costava due euro al litro. Ti ricordi, c'era ancora l'euro! E noi che ci lamentavamo!  Adesso, sette miliardi di nuove lire. E' diventato impossibile anche usare i mezzi pubblici".
"Perché? Non c'è il filobus?"
"Sì, ma va a gasolio".
"Ah, già, dimenticavo. E allora, cosa lo fanno a fare il traforo?"
"Dicono che era nel programma elettorale, che hanno preso un impegno con i cittadini. E che poi tanto pagano i privati, a noi non ci costa una lira. Poi siamo liberi di usarlo o meno, chiaro che ci sarà il pedaggio".
"E quanto si pagherà a passaggio?"
"Dieci miliardi".
"Urca. Almeno ai miei tempi c'erano ancora  i marmisti. Non so oggi chi se lo potrà permettere".
"Boh, infatti, è un mistero".
"E i privati davvero pagano tutto loro? Non mi pare un investimento molto oculato".
"Che ti devo dire? Anche a me par strano, comunque dice che parte".
"E chi lo dice?"
"Il sindaco".
"E chi è?"
"Come chi è???"

giovedì 11 ottobre 2012

Primarie: perché candidarsi per perdere?


Berlusconi e il Pdl? Stendiamo un velo pietoso. Le liste Monti, Montezemolo, Casini e Fini: brodini insipidi.  La Lega? Spompata, in ritirata strategica. Grillo? Nemmeno lui mi diverte più. Ma nell'Italia dei partiti personali dove il capo comanda e gli altri ubbidiscono, le primarie, anzi queste primarie del centrosinistra, mi stanno appassionando. Anzi, mi paiono l'unico fenomeno degno di nota nella politica italiana attuale.
A renderle interessanti, innanzitutto, c'è il fatto che sono alimentate dallo scontro di due pulsioni violente e primordiali: la lotta per conquistare il potere e quella per non perderlo. Non si era mai visto nulla del genere in tempi recenti qui da noi,  tanto più che le  primarie precedenti sono sempre state una farsa:  vincitore designato in partenza con degli sparring partner interessati solo a un po' di visibilità e/o a crearsi una corrente. In almeno un caso – Veltroni – era scontato anche che il vincitore avrebbe perso poi le elezioni.
Stavolta è diverso. Nel Pd si intuisce  un clima da Armageddon, perché altissima è la posta in gioco della sfida del rottamatore Matteo Renzi alla leadership di Pierluigi Bersani. Da una parte il giovane con il suo afflato di angelo purificatore; dall'altra  la vecchia guardia che fa quadrato per non essere spazzata via e si difende con le unghie e con i denti. Sembra di essere su un ring, volano cazzotti veri. Ma tutte le provocazioni, le calunnie, i colpi bassi  non sono più fini a se stessi, perché questo giro  non si scherza: the winner takes it all. Il vincitore si prende tutto. E poi, molto probabilmente, vince le elezioni.
In questa lotta tra il bene e il male (e ognuno scelga chi è cosa) fatico davvero a comprendere le ragioni della candidatura di Laura Puppato. Donna, madre, prossima nonna, l'ex sindaco di Montebelluna e capogruppo del Pd in Regione Veneto, che nel curriculum può vantare dei simbolici successi nella terra più leghista d'Italia, propone una terza via “fuori dalle correnti e dalle appartenenze”, un partito che crea “lavoro, cultura, felicità, bellezza” e dove tutti si vogliono bene perché “servono le energie di Renzi e le competenze di Bersani”. Non ha alcuna speranza di vincere, la sua è una candidatura minoritaria, di testimonianza, settoriale, di nicchia. Un po' come Nichi Vendola, ma almeno lui c'ha il suo partitino da curare.
E poi io alle primarie voglio veder scorrere (metaforicamente parlando) il sangue: solo così ho la garanzia di assistere ad una competizione vera. Se diventano un modo per stabilire i rapporti di forza all'interno del Pd non mi interessano. Se diventano il mezzo per prenotarsi il posto di candidato governatore del centrosinistra alle prossime regionali del Veneto, mi mettono pure tristezza.

lunedì 8 ottobre 2012

Celentano e il peggio del peggio dell'Arena


Mi sforzo di guardare in televisione  “Rock Economy”, il pompatissimo show di Adriano Celentano. Il molleggiato ha trasformato l'Arena in uno studio televisivo, sembra proprio quello suo di Rai Uno, anche se adesso siamo su Canale 5. Canta “questa è la cumbia” (ma che è?) circondato da un esercito di figuranti e penso che è per questa roba che da giorni devo sopportare sopra la testa le pale degli elicotteri. Ho avuto una giornata storta, ho un'emicrania e forse è ingeneroso il pensiero che comincia a martellarmi nel cervello: “Questa è la cosa peggiore mai vista in Arena”. Infatti ci penso un po' su e realizzo che forse non è così. E mentre Adriano canta “Pregherò” sulle note di Stand by Me (pezzo nuovissimo), provo a stilare il mio personalissimo “worst of”. Qui di seguito ecco quindi la top 10 del peggio mai passato per l'Arena.
10. Peter Pan (9 settembre 2012). L'Arena trasformata nell'isola che non c'è, Edoardo Bennato che per l'occasione interpreta per la prima volta il narratore sul palco della sua opera, l'autodefinito “musical più amato d'Italia”. Però i biglietti non si vendono, neanche a prezzo di saldo: sarà la crisi.
9. Patty Pravo (18 settembre 2008). Sarà per il pubblico scarso (seimila per gli organizzatori, molti meno per la questura) ma quella sera Nicoletta Strambelli in arte Patty Pravo non è proprio in forma. E qui mi taccio, per rispetto al personaggio. Venire in Arena è stata proprio una Pazza Idea.
8. Nove Organi. Non l'abbiamo ancora visto in Arena e, dopo due tentativi a vuoto per i pochissimi biglietti venduti (duecento), forse non lo vedremo mai. Peccato: il concerto simultaneo di nove organi diretti dal compositore Jean Guillou poteva passare alla storia come il più grande flop nella storia dell'Arena.
7. Angeli Sulle Punte (11 settembre 2012). I più grandi ballerini del mondo si danno appuntamento grazie a Eleonora Abbagnato  a Verona per una dedica particolare alle vittime dell'11 settembre. Evento per pochi intimi, in un'Arena dai 13mila posti a sedere.
6. I comici. Passi Benigni con il suo Dante (settembre 2006), passi Beppe Grillo (quando non era ancora entrato in politica: settembre 2005). Ma Giorgio Panariello (14 luglio 2008) e Enrico Brignano (17 settembre 2010) proprio no. No.
5. Il Mondo di Patty (19 luglio 2010)  Patty si trasferisce con la madre dalla provincia argentina a Buenos Aires e si ritrova in una scuola d'arte sognando di diventare una cantante famosa. Musical per pubblico dai 7 ai 14 anni. Che ci fa in Arena nel bel mezzo della stagione lirica? Non lo capisce (e non va a vederlo) quasi nessuno
4. Wind Music Awards (dal giugno 2009). Le (presunte) star della musica pop italiana premiate a suon di dischi d'oro e di platino, omettendo di dire che i dischi non li compra più nessuno, in tre serate ad uso e consumo del format televisivo. Ci sono passati tutti: Pausini,  Ramazzotti, Vanoni, Pino Daniele, più quelli dei talent, Alessandra Amoroso, Marco Carta e via dicendo.  Io ci sono affezionato perché una sera, ubriaco con un amico inglese, abbiamo importunato a tarda notte fuori dal Due Torri Renato Zero e Gigi D'Alessio (anche di lui si ricorda un flop memorabile in Arena). Ciò detto, ridateci il Festivalbar.
3. Ligabue (dal 25 al 30 settembre 2008, dal 19 settembre al 4 ottobre 2009). Con il gruppo rock e accompagnato dall'orchestra, due anni di sold out all'Arena con una ventina di concerti. Io me ne sono tenuto alla larga, ma pare che fossero veri e propri concerti seriali, in fotocopia: stesse scalette, stesse gag, stesse battute. I fan si sono pure incazzati: ma chi è causa del suo mal...
2. Galà della Lirica (dal maggio 2010). L'Arena è (dovrebbe essere) il tempio della musica lirica. Ma già sfiancata dalle produzioni di Zeffirelli, forse non meritava anche il Galà, condotto da Antonella Clerici vestita da Tosca.  E poi il trio dei “tenorini”, il duetto del soprano Katherine Jenkins con Lucio Dalla (qualche passo falso è toccato pure a lui), i Modà che cantano arie d'opera.
1. Amici (18-19 maggio 2012). Verona invasa da ragazzini con bizzarre pettinature, Belen che se la fa con Stefano alle spalle di Emma, il dramma di Antonino che viene eliminato. Per l'Arena è stato davvero troppo. Ma, per chi c'era, la sfuriata di Maria de Filippi alla prima pubblicità per qualche problema tecnico, è stata impagabile. Peccato che per ospitare Amici sia saltato il concerto dei Radiohead: ma bisogna pur fare delle scelte, no?

Ognuno ha il suo Croce


Di questi tempi, trovare esempi di una politica lontana anni luce dai problemi e dalle sofferenze dell'uomo della strada non è impresa ardua. E anche a Verona, dove non ci facciamo mai mancare niente, è spuntato dall'anonimato un certo Michele Croce. Non lo conosco personalmente e mai avevo sentito parlare di lui, prima della campagna elettorale quando sui giornali ho cominciato a leggere le sue dichiarazioni pro-Tosi a nome del circolo culturale di destra l'Officina, di cui era segretario. Poi l'ho trovato candidato nella lista “civica” di Tosi, è stato eletto, ma fare il consigliere comunale, evidentemente, non gli interessava. Così, alla prima tornata di nomine negli enti pubblici, è stato messo presidente dell'Agec, l'azienda comunale che si occupa di farmacie, cimiteri ma soprattutto dell'assegnazione delle case popolari.
Croce è un avvocato e io non ho idea se sia adatto o meno per ricoprire un ruolo tanto delicato quanto mal pagato (l'Agec è spesso l'ultima scelta di chi cerca una poltrona negli enti: il presidente prende poco più di 15mila euro lordi in un anno). Sta di fatto che non appena si è insediato nel suo ufficio ha dato subito mandato di rinnovarlo: mobili nuovi e una bella rinfrescata a pareti, porte, pavimenti e infissi. Conto totale: 33mila euro. E meno male per lui che un primo preventivo da 48mila euro, che prevedeva una buona dose di accessori kitch, è stato tenuto nel cassetto. In ogni caso, Croce giura che tutti gli interventi erano necessari e  improcrastinabili. Ma ora un tecnico comunale, incaricato dal sindaco, ha fatto una relazione che suggerisce il contrario, e che verrà esaminata giovedì dal consiglio di amministrazione: se quelle spese saranno giudicate “non necessarie” (e non vedo come possa essere diversamente), l'avvocato dovrà pagare di tasca sua, come già capitato a un suo precursore, l'altrettanto sconosciuto Giovanni Frigo, catapultato alla presidenza di Agsm Energia da qualche corrente di Forza Italia, ma subito pronto a investire oltre 20mila euro dell'azienda per qualche poltrona di pelle.
Sgombriamo il campo da scomodi paragoni: Croce non è certo Batman Fiorito e non c'entra nulla con lo squallore del suo omologo lombardo Antonio Piazza. Gli si può imputare, al massimo, un comportamento inopportuno, una mancanza di tatto nel  rimettere a nuovo il suo ufficio presidenziale mentre il core-business della sua azienda  sono – sostanzialmente – i poveracci. Eppure, comportamenti come i suoi rischiano di danneggiare non poco  Tosi, che per governare senza impedimenti, ha preferito farsi un partito personale di gente che gli assicura massima fedeltà e dove il merito si misura coi voti. Comunque vada a finire, non credo che Croce uscirà bene da questa vicenda: ma la figuraccia sarà anche di Tosi, ovvero l'artefice della sua (breve?) carriera politica. E non sarà un bel biglietto da visita per la nuova Lega di Maroni che, in un'Italia sempre più simile a una cloaca intasata dalla corruzione, cerca di vendere il “modello Verona” come sinonimo di virtù.

martedì 2 ottobre 2012

Un quartiere, una città, un Paese in confusione


Ho fatto un sogno. Andiamo a votare e nessuno vince le elezioni. Forti dell'esperienza del governo Monti, Pd Pdl e Udc ci riprovano, si mettono insieme ed esprimono un candidato. Nonostante la pensino diversamente su quasi tutto riescono pure a fare un programma comune! Però, c'è un problema: anche con questa grande (e bizzarra) coalizione non hanno la maggioranza. Dall'altra parte ci sono i leghisti. Maroni lo ha appena detto agli stati generali del Lingotto: “Saremo il partito egemone del Nord”. Gli piace il cosiddetto “modello Verona”: Carroccio più liste civiche di fuoriusciti vari: che bella idea! Ma nemmeno loro la maggioranza ce l'hanno e in democrazia questo non è proprio un dettaglio, nemmeno nel mio sogno sempre più confuso e contraddittorio. Resta il Movimento Cinque Stelle, che ha preso un bel po' di voti ma non certo sufficienti a far da solo. Solo che i grillini, per contratto, non si alleano con nessuno perché i partiti “sono morti” (e nemmeno io mi sento molto bene). Però – dicono i suddetti grillini agli altri, a quelli dei partiti, per capirci – se ci votate, facciamo noi i presidenti di garanzia. Un vero e proprio coniglio dal cilindro! Ma neanche nel mio sogno, dove nulla pare più avere una logica, una simile fantasia si realizza. Così si mettono al lavoro le segreterie dei partiti: riunioni fiume, vertici, diplomazie parallele. Ma non succede nulla, forse anche perché nel mio sogno nessuno risponde più a nessuno, se non a se stesso. A tre mesi dal voto, non resta che alzare bandiera bianca e tornare alle urne.
P.s. Nella settima circoscrizione di Verona, che comprende i quartieri di San Michele Extra e San Pancrazio, si sono fronteggiati per tre mesi Pd-Udc-Pdl contro Lega-Lista Tosi, mentre i grillini erano neutrali come la Svizzera, senza mai riuscire a eleggere un presidente. Lunedì sera l'ultimo consiglio utile, ora si torna a votare. Non è un sogno.  

lunedì 1 ottobre 2012

La tregua degli ululatori del Bentegodi


Una rondine non fa primavera, ma giunti ormai alla settima giornata di serie B non si ha ancora notizia (e per fortuna) degli squallidi cori razzisti contro i giocatori di colore al Bentegodi. L'anno scorso erano una triste ritualità, che si ripeteva stancamente a ogni partita dell'Hellas, ed immancabile era la multa del giudice sportivo. Più di 50mila euro, in totale, alla fine della stagione. Un inutile salasso economico per il club e un ancor più grave danno d'immagine per la squadra e per una città che non ha certo bisogno di rafforzare in giro per l'Italia certi stereotipi già sufficientemente radicati..
Quest'anno la musica è diversa, almeno per adesso. La prima partita in casa è stata contro lo Spezia, dove gioca Stefano Okaka, italiano nato da genitori nigeriani e quindi di pelle scurissima: alla prima palla toccata ho sentito partire qualche timido ululato, subito silenziato. Poi, più nulla. Nella partita successiva, con la Reggina, un altro nigeriano, Daniel Adejo, era schierato in difesa: anche in questo caso, nessun trattamento speciale. Contro il Novara, a segnare il gol del pareggio è stato Masahudu Alhassan, uno scurissimo ghanese che, più che incendiare la curva, l'ha ammutolita. Poi è arrivato il Bari, che non schiera giocatori di colore. Ma non è partito nemmeno un coro di quelli che i burocrati della disciplinare definiscono di “discriminazione territoriale” e che al Bentegodi, contro squadre del sud, sono sempre stati la regola.
Il mondo non è diventatoimprovvisamente migliore, ma qualcosa a Verona è cambiato, non c'è dubbio. Ma cosa? Cosa ha convinto il manipolo di ululatori a cambiare registro? Primo, nessuno li difende più. Già, perché per troppo tempo i buuh sono stati tollerati e in qualche modo giustificati come folklore da stadio. “Mica è un teatro, no?”. Quante volte l'ho sentito dire, anche nel recente passato: ma ultimamente meno, anzi per la verità quasi più. Forse il punto di non ritorno è stata la vittoria in trasferta a Torino l'anno scorso, la più bella partita di Mandorlini, ma che l'Hellas ha poi rischiato di perdere a tavolino per certi inni alle camere a gas dei tifosi al seguito. Forse qualcuno di quelli che in curva sono ascoltati, ha capito la deriva autolesionista. Forse.
Poi è arrivato Maurizio Setti, il nuovo presidente: ha subito posto la questione dei cori all'ordine del giorno, ha detto che non vede l'ora di comprare qualche calciatore africano e quando gli hanno chiesto qual è il suo sogno, non ha detto andare in serie A, ma “vincere il trofeo fair-play”. Ora, Setti è tutt'altro che un ingenuo: sa che il suo investimento nel calcio può risultare compromesso, prima ancora che dalla mancanza di risultati, da una brutta immagine. Il suo, con i tifosi, è stato un patto tacito: fate i bravi, e io faccio la mia parte, allestendo uno squadrone. Un patto che, finora, regge. Ma la strada per la coppa fair-play è ancora molto, molto lunga.


venerdì 28 settembre 2012

Il caso Ryanair: un disastro tutto veronese


Pare quasi un paradosso dover festeggiare un evento come questo: dopo nemmeno due anni, Ryanair lascia l'aeroporto di Verona, a partire dal 12 ottobre. Sono sicuro che al Catullo avranno stappato le bottiglie di champagne e ne hanno ben donde: pagavano alla compagnia irlandese low-cost circa 17 euro di contributo commerciale per passeggero. Solo nel 2011 Ryanair da Verona ne ha trasportati 500.000. Un salasso incredibile, per un aeroporto già drammaticamente indebitato che nel 2011 ha perso oltre 26 milioni di euro: soldi che dovranno ripagare i soci, pubblici, e quindi noi contribuenti (ne avevo scritto qui).
Eppure, il successo della nuova dirigenza, che mostrando i muscoli è riuscita a far rescindere un contratto economicamente insostenibile, è allo stesso tempo la certificazione di un grande fallimento. Tutti diranno che il colpevole numero uno è Fabio Bortolazzi, l'ex presidente che ha voluto, a tutti i costi, introdurre il low-cost a Verona, strappandolo a peso d'oro dall'aeroporto di Brescia-Montichiari, che pure è di proprietà del Catullo.  Ma Bortolazzi non è sceso dalla luna: è stato per due mandati presidente della Camera di Commercio e al Catullo ci è approdato con il consenso della politica locale, sindaco Tosi in primis. Avrà il coraggio ora quella stessa politica di citare in giudizio l'ex presidente, come il cda del Catullo ha fatto con l'ex direttore generale?
Non si tratta di una semplice disputa commerciale, questa è una vicenda che mette in discussione un intero modello di business, quello del low-cost (che scopriamo “drogato” da contributi pubblici, manco fosse un'Alitalia qualsiasi) e interroga Verona nel profondo, quella Verona che è la quarta città turistica d'Italia e che dai turisti trae buona parte della sua ricchezza. Ora, quando il Catullo, che è una società sostanzialmente pubblica, decide di pagare quegli esosi contributi a Ryanair (che, ben inteso, ha fatto solo il suo mestiere) sceglie di collettivizzare un investimento che, invece a mio parere avrebbe dovuto essere a carico esclusivo di chi ne andava a trarre beneficio. Per capirci, se Ryanair porta gente in città il conto lo paghino albergatori, ristoratori e operatori del turismo. Non tutti noi che, al massimo, abbiamo avuto l'occasione di andare a Londra con 50 euro.

martedì 18 settembre 2012

Quanto è bella (e inadeguata) Verona vista dalla bici


Ho sempre pensato che la bici elettrica fosse un aggeggio per anziani incapaci di deambulare. Poi sono stato domenica all'Eica, la fiera della bicicletta a Verona, e mi sono ricreduto. Me ne hanno fatta provare una nuova fiammante, con cui mi sono girato la città in lungo e in largo, su e giù dalle Torricelle dove mai sarei andato con la sola spinta delle mie gambe. Bellissimo, e bellissima Verona vista dal sellino di una bici.
Però pericolosa. Fortunatamente la ciclabile di corso Porta Nuova era transennata, ma come sa ogni ciclista urbano veronese, per una buona parte scorre sul marciapiede che, giustamente, con una bella giornata di sole era strapieno di gente. Sulla strada, un fiume di macchine, alla faccia della domenica ecologica. Ne chiedo conto a una vigilessa, questa allarga le braccia: “Abbiamo avuto l'ordine di far scorrere il traffico, dovrebbero esserci i miei colleghi ai varchi”.
Così quella che doveva essere una giornata che consacrava Verona capitale della bici è stata un'occasione persa. Verona ha rivelato ancora una volta la sua vera natura: quella di capitale delle auto. Ma non do (del tutto) la colpa ai tradizionalmente indisciplinati automobilisti veronesi. Secondo me, semplicemente, la maggior parte non sapeva del blocco. Il Comune d'altra parte ha fatto pochissimo per farlo sapere in giro. In compenso, tutti davanti alle telecamere per la cattura di un (1) ladro di biciclette.
Non so se sia un problema culturale, se chi ci governa non ha ancora capito che andare in bici non è solo un'attività sportiva, ma è soprattutto un'alternativa di mobilità (interessante spunto da leggere qua). La bici elettrica, e faccio mea culpa per essermene reso conto solo adesso, in città può sostituire quasi completamente l'auto. Meno male che quella che mi hanno fatto provare – per altro costruita da un'azienda veronese – sono riuscito a riportarla integra in fiera, grazie anche ai tanti volontari della protezione civile che assistevano lungo il percorso. Costava 1.300 euro, se qualcuno mi veniva addosso non ero neanche assicurato.




lunedì 17 settembre 2012

Perché Tosi non è il Renzi di destra

Sono entrambi sindaci, relativamente giovani e un po' ribelli. Sono innamorati del potere e la loro città non gli basta. Paragonare  Flavio Tosi e Matteo Renzi può essere suggestivo tanto che c'è chi si chiede: può Tosi diventare per il centrodestra quel che Renzi vuol diventare per il centrosinistra? Secondo me, no.
  1. Scommessa vs calcolo. Da Verona Renzi lo ha detto chiaramente: “non voglio aspettare il mio turno”. La sua scommessa è quella di ribaltare il tavolo con le primarie: se le vince, avrà il mandato popolare, ma buona parte del suo partito contro. Per Tosi, al contrario, è contato di più prendersi il partito. Ha fiutato l’onda del cambiamento, l’ha cavalcato ma non troppo, saldando il ticket con Maroni. Il calcolo è preciso: è passato dall’essere un paria leghista al numero due. Ma ora dovrà aspettare il “suo turno”. C’è gente che è morta (politicamente) aspettando. 
  2. Uomini vs caporali. Renzi è di destra? Dibattito noioso. Piuttosto parliamo del fatto che sa aggregare una serie di personalità – da Oscar Farinetti a Pep Guardiola (qui c’è un elenco completo) – che hanno qualcosa da dire: la sua squadra non avrà (ancora) quantità, ma ha (già) qualità. Non altrettanto si può dire dell’ipotetica squadra di Tosi: al di là di qualche testa pensante, Tosi si è circondato di tanti yes-man, che gli portano voti ma non idee e qualche volta lo espongono a delle figuracce.
  3. Trampolino vs pedana. Per Renzi il Pd è un grande trampolino per la conquista del potere in Italia. La Lega è invece un partito territoriale, un po’ in crisi di identità ancor prima che di consensi. Per Tosi finora è stata una pedana, che lo ha innalzato dall’anonimato. Ma cosa può essere di più? Maroni dice che bisogna esportare il modello vincente di Verona, Lega più civiche di centrodestra. A me pare  poco più di una boutade che, più che alle elezioni politiche, guarda alle regionali (al Nord) del 2015.