lunedì 30 dicembre 2013

Verona è morta, viva Verona

Dopo mesi di inattività, in cui a Verona è successo di tutto ma dove non trovavo nulla di davvero interessante da aggiungere,  rieccoci qua. Tempo di bilanci, in questa fase di passaggio dell'anno, ma lo sprone a tornare a scrivere su questo blog me l'ha data un articolo (invettiva? sfogo?) sul fatto quotidiano, dal titolo senza appello: "Verona agli occhi di uneuropeo: solo rassegnazione e inerzia culturale". Riassunto, poi, sui social network con l'epitaffio: "Verona è morta". L'ho letto e, a una prima scorsa, l'ho trovato piuttosto banale e superficiale, condito per altro di diverse palesi esagerazioni, come questa:
Guai a sbocconcellare un panino sui gradini della Gran Guardia o bere una birra ridendo per la strada dopo la mezzanotte, i vigili urbani arrivano subito
Poi, però, ho visto che in tanti commentavano, condividevano. Ho riflettuto, concludendo che evidentemente l'articolo ha toccato le corde di tanti. E, a quel punto, ho pensato che in effetti questo articolo lo avrei potuto scrivere anch'io. Non oggi, ma quindici anni fa. 
Verona è morta quindi? Per certi versi, per me, lo è sempre stata.
 Finite le superiori, Verona mi stava stretta. Una gabbia, dove mi sentivo costretto, che non mi faceva respirare. Ascoltavo musica che qui non si trovava, leggevo libri di cui qui non si discuteva, volevo conoscere e frequentare persone che qui non esistono, o se esistono sono ghettizzate. Per non parlare dei locali: mi sembrava che l'unica forma di divertimento codificata fosse l'aperitivo e la discoteca, due riti (in particolare il secondo) che non ho mai celebrato. Così, come tanti, me ne sono andato. Tornandoci, a malincuore, dieci anni dopo, pensando all'ennesima parentesi provvisoria di una vita, la mia, che mi immaginavo pienamente realizzata altrove: Londra, New York, oppure - abbassando le ambizioni - Milano o Roma. Ma in Italia, diceva tempo fa Flaiano, non c'è nulla di più definitivo del provvisorio, e così è stato per me. Eccomi ancora qua, ormai radicato, veronese come non lo sono mai stato prima, quasi senza accorgermene. 
L'errore più grande, per chi torna a Verona, è cercarvi le cose che sai non esserci, perché sono quelle che ti avevano spinto ad andartene. E' un errore che ho cercato di non commettere (non sempre riuscendoci). E nel frattempo, ho imparato ad apprezzare cose che un tempo, per snobismo, non vedevo. L'ho fatto grazie in particolare a chi, a Verona, è venuto a viverci da altre città. Chi me l'ha fatta scoprire accogliente quando a me pareva fredda e chiusa. Chi mi ha fatto apprezzare il carattere semplice dei veronesi, che ne fa - proprio per questo - persone meno provinciali di quanto si dica. E le osterie, che qui sopravvivono come forma di socialità interclassista. E il tifo, che è religione e goliardia assieme. E tante altre piccole cose, che insieme non fanno New York, Londra o Bruxelles. Ma che fanno una città dove vivere è un compromesso accettabile tra le proprie ambizioni (le mie, almeno) e la voglia, dopo tanto girovagare, di mettere radici. Anche perché, com'è noto, è oggettivamente una bellissima città. 
Ma questa bellezza sta diventando il ricco decoro di un funerale che, anno dopo anno, si sta consumando: Verona rischia di spegnersi, lentamente ma inesorabilmente
Verona è peggiorata negli ultimi anni? SI sta spegnendo? Non saprei. Certo, questa è una città che aveva cullato l'illusione di essere un'isola felice nel grande mare in tempesta della crisi italiana, un'illusione che ha cullato anche l'amministrazione comunale (che per altro pare godere di grandi consensi), almeno a vedere i grandi progetti in cui si è imbarcata. Da qualche tempo, non è più così. La malattia è arrivata anche qui, e porta rabbia, rassegnazione, depressione. Chi ha un lavoro ha paura di perderlo, chi non ce l'ha sa che non può trovarlo. Se i vecchi locali chiudono (ma altri, nel frattempo, aprono) è anche e soprattutto per questo. 
Un europeo a Verona rimane incantato dalla sua bellezza ma sbalordito dall’inerzia culturale in cui sta scivolando
Detto che io mi sento a tutti gli effetti europeo pur essendo veronese, la cultura - propriamente detta - è qualcosa per cui questa città non ha mai brillato. Per una mostra di Monet in Gran Guardia, c'è una cronica carenza di iniziative di largo respiro, su cui sarebbe necessario puntare non solo per stimolare un turismo di qualità, ma anche per creare nuovi spazi di aggregazione per chi a Verona ci vive, che non siano i soliti triti e ritriti bar di piazza Erbe. Più che la presunta repressione della joie de vivre da parte di Tosi (è il passaggio per me più enigmatico dell'articolo), mancano idee e mancano spazi. E quello che a me sbalordisce, semmai, è la povertà del dibattito pubblico in città, e di questo al sindaco (i cui meriti e le cui colpe non voglio in questa sede affrontare) si può imputare solo di averne approfittato per puntellare il suo potere. 
Un europeo a Verona vorrebbe aprire la finestra della città sull’Europa per farvi entrare un po’ di quella modernità, entusiasmo e dinamismo che stanno caratterizzando altre città europee al fianco delle quali Verona merita di stare.
La domanda, in definitiva, è una e una sola: Verona merita di più? Facile rispondere di sì, troppo facile. Io credo che Verona meriti quello che ha, e forse ha di più di quello che merita. Ha un passato meno cosmopolita di quanto ritiene il giornalista del Fatto, essendosi trovata nella spiacevole posizione di confine dell'impero (austriaco) prima di diventare snodo di corridoi europei che oggi non ci sono e forse mai ci saranno. Penso che abbia un grande potenziale inespresso, ma che per colmarlo non bastiamo noi veronesi: serve sempre più gente che viene da fuori, che resti a vivere qua dopo l'Università, che ci venga per lavorare, che crei una domanda di servizi che oggi, semplicemente, non c'è. Il futuro, per me, non è conservazione, ma contaminazione. Non è un sindaco illuminato (se mai ci sarà), ma una città che chiede, anzi pretende, cose che oggi non sono nell'agenda. 

 Io comunque,  tutto sommato, qui sono contento di viverci, pur cosciente dei tanti limiti che questa prospettiva offre . A differenza di quanto diceva Shakespeare in Romeo e Giulietta, c'è tutto un mondo fuori dalle mura di Verona. E meno male.