Una rondine non fa primavera, ma giunti
ormai alla settima giornata di serie B non si ha ancora notizia (e
per fortuna) degli squallidi cori razzisti contro i giocatori di
colore al Bentegodi. L'anno scorso erano una triste ritualità, che
si ripeteva stancamente a ogni partita dell'Hellas, ed immancabile
era la multa del giudice sportivo. Più di 50mila euro, in totale,
alla fine della stagione. Un inutile salasso economico per il club e
un ancor più grave danno d'immagine per la squadra e per una città
che non ha certo bisogno di rafforzare in giro per l'Italia certi
stereotipi già sufficientemente radicati..
Quest'anno la musica è diversa, almeno
per adesso. La prima partita in casa è stata contro lo Spezia, dove
gioca Stefano Okaka, italiano nato da genitori nigeriani e quindi di
pelle scurissima: alla prima palla toccata ho sentito partire qualche
timido ululato, subito silenziato. Poi, più nulla. Nella partita
successiva, con la Reggina, un altro nigeriano, Daniel Adejo, era
schierato in difesa: anche in questo caso, nessun trattamento
speciale. Contro il Novara, a segnare il gol del pareggio è stato
Masahudu Alhassan, uno scurissimo ghanese che, più che incendiare la
curva, l'ha ammutolita. Poi è arrivato il Bari, che non schiera giocatori di colore. Ma non è partito nemmeno un coro di quelli che
i burocrati della disciplinare definiscono di “discriminazione
territoriale” e che al Bentegodi, contro squadre del sud, sono
sempre stati la regola.
Il mondo non è diventatoimprovvisamente migliore, ma qualcosa a Verona è cambiato, non c'è
dubbio. Ma cosa? Cosa ha convinto il manipolo di ululatori a cambiare
registro? Primo, nessuno li difende più. Già, perché per troppo
tempo i buuh sono stati tollerati e in qualche modo giustificati come
folklore da stadio. “Mica è un teatro, no?”. Quante volte l'ho
sentito dire, anche nel recente passato: ma ultimamente meno, anzi
per la verità quasi più. Forse il punto di non ritorno è stata la
vittoria in trasferta a Torino l'anno scorso, la più bella partita
di Mandorlini, ma che l'Hellas ha poi rischiato di perdere a tavolino
per certi inni alle camere a gas dei tifosi al seguito. Forse
qualcuno di quelli che in curva sono ascoltati, ha capito la deriva
autolesionista. Forse.
Poi è arrivato Maurizio Setti, il
nuovo presidente: ha subito posto la questione dei cori all'ordine
del giorno, ha detto che non vede l'ora di comprare qualche calciatore
africano e quando gli hanno chiesto qual è il suo sogno, non ha
detto andare in serie A, ma “vincere il trofeo fair-play”. Ora,
Setti è tutt'altro che un ingenuo: sa che il suo investimento nel
calcio può risultare compromesso, prima ancora che dalla mancanza di
risultati, da una brutta immagine. Il suo, con i tifosi, è stato un
patto tacito: fate i bravi, e io faccio la mia parte, allestendo uno
squadrone. Un patto che, finora, regge. Ma la strada per la coppa
fair-play è ancora molto, molto lunga.
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