lunedì 1 ottobre 2012

La tregua degli ululatori del Bentegodi


Una rondine non fa primavera, ma giunti ormai alla settima giornata di serie B non si ha ancora notizia (e per fortuna) degli squallidi cori razzisti contro i giocatori di colore al Bentegodi. L'anno scorso erano una triste ritualità, che si ripeteva stancamente a ogni partita dell'Hellas, ed immancabile era la multa del giudice sportivo. Più di 50mila euro, in totale, alla fine della stagione. Un inutile salasso economico per il club e un ancor più grave danno d'immagine per la squadra e per una città che non ha certo bisogno di rafforzare in giro per l'Italia certi stereotipi già sufficientemente radicati..
Quest'anno la musica è diversa, almeno per adesso. La prima partita in casa è stata contro lo Spezia, dove gioca Stefano Okaka, italiano nato da genitori nigeriani e quindi di pelle scurissima: alla prima palla toccata ho sentito partire qualche timido ululato, subito silenziato. Poi, più nulla. Nella partita successiva, con la Reggina, un altro nigeriano, Daniel Adejo, era schierato in difesa: anche in questo caso, nessun trattamento speciale. Contro il Novara, a segnare il gol del pareggio è stato Masahudu Alhassan, uno scurissimo ghanese che, più che incendiare la curva, l'ha ammutolita. Poi è arrivato il Bari, che non schiera giocatori di colore. Ma non è partito nemmeno un coro di quelli che i burocrati della disciplinare definiscono di “discriminazione territoriale” e che al Bentegodi, contro squadre del sud, sono sempre stati la regola.
Il mondo non è diventatoimprovvisamente migliore, ma qualcosa a Verona è cambiato, non c'è dubbio. Ma cosa? Cosa ha convinto il manipolo di ululatori a cambiare registro? Primo, nessuno li difende più. Già, perché per troppo tempo i buuh sono stati tollerati e in qualche modo giustificati come folklore da stadio. “Mica è un teatro, no?”. Quante volte l'ho sentito dire, anche nel recente passato: ma ultimamente meno, anzi per la verità quasi più. Forse il punto di non ritorno è stata la vittoria in trasferta a Torino l'anno scorso, la più bella partita di Mandorlini, ma che l'Hellas ha poi rischiato di perdere a tavolino per certi inni alle camere a gas dei tifosi al seguito. Forse qualcuno di quelli che in curva sono ascoltati, ha capito la deriva autolesionista. Forse.
Poi è arrivato Maurizio Setti, il nuovo presidente: ha subito posto la questione dei cori all'ordine del giorno, ha detto che non vede l'ora di comprare qualche calciatore africano e quando gli hanno chiesto qual è il suo sogno, non ha detto andare in serie A, ma “vincere il trofeo fair-play”. Ora, Setti è tutt'altro che un ingenuo: sa che il suo investimento nel calcio può risultare compromesso, prima ancora che dalla mancanza di risultati, da una brutta immagine. Il suo, con i tifosi, è stato un patto tacito: fate i bravi, e io faccio la mia parte, allestendo uno squadrone. Un patto che, finora, regge. Ma la strada per la coppa fair-play è ancora molto, molto lunga.


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