Ho letto la petizione che gira in questi giorni “a favore
del mantenimento dell’Arsenale asburgico di Verona in mano pubblica e della sua
esclusiva destinazione ad attività di pubblica utilità”. L’ho letta, e non mi
convince per nulla. Non mi convincono le premesse, quando si ventila che ogni
“manomissione” dell’Arsenale “potrebbe compromettere lo status di patrimonio
dell’umanità” di Verona come stabilito dall’Unesco. O come quando si afferma
che “la cittadinanza si è riappropriata di questo spazio, rendendolo, dopo una
lunga attesa, il luogo preferito per il tempo libero e la socializzazione del
quartiere di Borgo Trento”. Sinceramente, non capisco cosa ci sia da
manomettere in un complesso che cade letteralmente a pezzi; ogni volta che ci
passo, poi, provo un senso di tristezza per tutto quello spazio
vuoto, buio (di sera), non sfruttato, se non per qualche film proiettato
d’estate o qualche piccola iniziativa come il mercatino del vintage. Ma
soprattutto, della petizione (che è appoggiata anche dal Partito democratico)
non mi convincono le conclusioni: ovvero, che questo enorme spazio a due passi dal centro debba restare
esclusivamente in mano pubblica e che vada quindi rigettata al mittente senza
troppi complimenti la proposta di una cordata privata (Contec- Rizzani De
Eccher) disposta a investirci una bella camionata di soldi con lo scopo di
valorizzare il tutto in senso
commerciale.
Da tempo a Palazzo Barbieri si arrovellano su cosa fare
dell’Arsenale. Ai tempi dell’amministrazione Zanotto era stato commissionato un
progetto allo studio Chipperfield, con l’idea di trasferirci il museo di storia
naturale. Costo stimato? 60 milioni di euro: un libro dei sogni per le finanze
pubbliche, anche allora che le cose giravano un po’ meglio, figurarsi oggi. E
poi, era sostenibile un museo di quelle dimensioni, con i conseguenti costi di
gestione? Sta di fatto che non se
ne fece nulla. Si arriva così all’amministrazione Tosi che, dopo l’ennesimo
risiko di permute con la solita fondazione Cariverona (che ha in progetto
diversi musei: auguri), si ritrova 12 milioni di euro da investire
nell’Arsenale. Fa così un bando e arriva la proposta in questione. Sul piatto i
privati mettono 36 milioni circa,
che si aggiungono ai 12 del Comune. Il progetto prevede, nella corte est, un
asilo nido, spazi per le associazioni, un centro anziani e la sede della
circoscrizione; nella corte ovest una sorta di polo “didattico-creativo”, con
una scuola della moda, l’Accademia Cignaroli (la cui sede oggi cade a pezzi)
oltre ad uffici (probabilmente la nuova sede dell’ordine degli architetti). La
palazzina di comando resta a destinazione museale e potrebbe diventare un
prolungamento del museo di Castelvecchio. Nella parte centrale, le attività
commerciali: nessun supermercato o negozio di cianfrusaglie, ma “insediamenti
di qualità” (l’esempio ricorrente è Eatitaly), il tutto con una piazza
“coperta” in modo da far vivere il sito tutto l’anno.
C’è chi grida alla “svendita” per la concessione di
99 anni richiesta dai privati come condizione per investire. Di fatto,
due terzi dell’Arsenale verrebbero così ceduti. Penso che sia un nodo fondamentale su cui è giusto discutere e che il Comune, in sede di trattativa,
debba fare di tutto per limare al ribasso il più possibile. Ma il punto a me
sembra un altro: solo con l’intervento di privati l’Arsenale può tornare a
vivere. Certo, nessuno vuole vedere un luogo come l’Arsenale trasformarsi in
una sorta di “Grande Mela”, ma non mi pare che il progetto preveda questo,
anzi. E dubito che sia anche nell’interesse di chi investe simili somme ( 36 milioni
non sono noccioline) tanto più che
a Verona, di centri commerciali ce
ne sono fin troppi: quel che manca, semmai, sono proprio le attività “di
qualità” che fioriscono altrove (penso a Milano o a Bologna, per non parlare di
una qualsiasi città del nord Europa) dove il nuovo non spaventa, ma
incuriosisce.
P.s. Che i 12 milioni di euro del Comune possano bastare per
ristrutturare il complesso – come sostengono i comitati - a me pare una pia illusione. Ma, anche fossero sufficienti, cosa ce
ne faremmo poi dell’Arsenale tutto “pubblico” e senza più il becco di un quattrino?
Io, invece, l'ho firmata e non per contrarietà aprioristica all'intervento del privato ma, se ho letto bene quello che è scritto sui giornali, per una questione di metodo e una di merito. Metodo: non c'è stato un bando (che avrebbe presupposto un indirizzo del pubblico) ma, come al solito in tempi recenti, una proposta di un privato a cui il pubblico si adegua. Poi, come in altri casi, si dirà che sarà il bando a migliorarlo. Merito: sempre se ho letto bene, il privato può anche vendere la parte che gli spetta il che mi lascia ancora più perplesso dei 99 anni perché la qualità, a quel punto, la decide lui.
RispondiEliminaNon ricordo di aver letto della Cignaroli e, per quanto riguarda Eatitaly, non doveva andare dalle parti della Fiera (ex macello o ex mercato ortofrutticolo)? Infine, per la precisione, Chipperfield fu chiamato dalla sig.ra Sironi e il suo progetto sarebbe costato 90 milioni. Vero che fu "ridotto" a 60. Vero, soprattutto, che adesso, così com'è è un triste spreco.
Giancarlo Montagnoli
Grazie delle precisioni. Della Cignaroli si è parlato più volte, per quanto riguarda Eatitaly era un esempio di "insediamento di qualità": che vada in fiera, all'Arsenale o altrove ancora non è certo. Vedremo come si svilupperà il progetto e so che i tecnici comunali stanno lavorando per abbattere il tempo di concessione. Insomma, discutiamone: ma non chiudiamo le porte in faccia a imprese che, per quanto ne so, sono serie e solide
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