Sono passati
più di tre mesi da quando, su un’isoletta ucraina al confine con la Moldavia,
sono state ritrovate avvolte in teli di plastica le 17 tele rubate dal museo di
Castelvecchio la sera del 19 novembre 2015.
La loro
restituzione pareva essere solo una questione di tempi burocratici. Ma, a mano
a mano che passano le settimane e i quadri non si muovono da Kiev, prende forma
quello che somiglia, sempre più, a un caso diplomatico.
L’ultima rassicurazione è arrivata in settimana dal sindaco Tosi: “I quadri torneranno a
Verona entro il mese di luglio”. Ma nessuno è in grado di sapere se il governo
ucraino intende rispettare l’impegno preso. Si è mosso persino il presidente
del consiglio Matteo Renzi, che nell’ultimo vertice Nato ha accennato alla
questione con il presidente Petro Poroshenko, che avrebbe dato ampie rassicurazioni in materia.
Il problema
è che Poroshenko non pare avere alcuna
fretta di restituire i quadri, al momento in ostaggio – per così dire – al museo
Kanenko della capitale Ucraina. E sì che non sono certo mancati i tentativi di
ammorbidirlo. Tosi si è perfino recato a Kiev con in tasca una cittadinanza onoraria in virtù dei presunti grandi meriti di Poroshenko nel ritrovamento, anche se in
verità l’operazione è stata resa possibile da una task force internazionale di
cui la polizia di frontiera ucraina è stato solo l’ultimo terminale.
Ora il
presidente ucraino pretende, come via libera per restituire i quadri, una
cerimonia in cui sia presente anche il suo pari grado Renzi. Siamo insomma
nelle mani di un controverso e spregiudicato leader politico, già protagonista
della guerra con la Russia di Putin, desideroso
adesso di capitalizzare, in termini di immagine e di prestigio, quanto più
possibile da questa vicenda. Una vicenda che, nonostante il ritrovamento dei
quadri e l’arresto della banda italo-moldava responsabile del colpo, non può
ancora considerarsi chiusa.
(dalla rubrica Il fatto della Settimana su Radio Adige)
(dalla rubrica Il fatto della Settimana su Radio Adige)
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