giovedì 23 giugno 2016

Aspettando Brexit: cosa dicono i nostri accusati di "rubare" il lavoro agli inglesi


Qualche giorno fa ho scritto un articolo su alcuni miei concittadini che lavorano in Inghilterra. Con la scusa di parlare del referendum su Brexit, ne è venuto fuori un piccolo affresco di cosa vuol dire essere emigrati da quelle parti di questi tempi. Molto materiale mi è rimasto fuori, purtroppo ma - mentre aspettiamo di sapere se vincerà il "leave" o il "remain" - riporto qui di seguito alcune delle risposte più significative, tra cui quella a una domanda chiave: perché gli stranieri trovano lavoro in Inghilterra più facilmente degli stessi inglesi? 




Vedo preoccupazioni emotive abbastanza simili a quelle che animano i dibattiti in italia, con una differenza: il Regno Unito ha una storia di immigrazione molto diversa dall'Italia (colonie, imperialismo), e questa entra in conflitto con la struttura sociale inglese, che per certi versi e' molto più rigida di quella italiana: tra inglesi c'e' molto meno mobilità sociale che tra stranieri. Per fare un esempio: in Inghilterra è più facile che un italiano nato da una famiglia di operai e laureatosi in italia consegua un dottorato e diventi un professore universitario in Inghilterra, piuttosto che un figlio di operai inglesi consegua una laurea in una università di prim'ordine inglese. Secondo me l'immigrazione e' un problema in Inghilterra che inasprisce le criticità della propria società.   
Paola Zanotto, 30 anni, architetto di Verona, lavora a Londra 

Se riesco a comprendere il punto di vista degli inglesi che voteranno per la Brexit proprio a causa dell’immigrazione? No. Sono proprio curioso di vedere chi li rimpiazzerebbe nei loro non sempre felici ruoli lavorativi. Le multinazionali che sfruttano economicamente l Inghilterra dovrebbero preoccupali più della gente che la tiene in piedi. 
Michele Montolli, musicista di Verona, vive a Londra

Se potessi votare al referendum sulla Brexit sinceramente sarei molto in dubbio. Se guardo la situazione dal mio punto di vista sarebbe un no, da un punto di vista di uninglese voterei per un si anche se con molta paura di una possibile crisi, sono anche convinto che se dovesse succedere gli inglesi saranno in grado di riprendersi in un periodo brevissimo.
Enrico Giacomini, 27 anni di San Bonifacio, appena arrivato a Londra 

 Non ho ancora letto una singola tesi relativa all'immigrazione che non sia stata confutata con forza da un serio fact checking. Tuttavia è facile anche notare come che l'immigrazione sia un tema che la popolazione britannica sente con molta intensità, in particolare nelle zone più economicamente depresse del paese. Non credo che i passati governi abbiano fatto uno sforzo significativo nel far capire come l'immigrazione sia una risorsa per il Regno Unito. E' vero che il servizio sanitario pubblico (NHS) è sotto pressione e con risorse molto limitate, ed è ancor più vero che il mercato immobiliare londinese è inaccessibile per la maggioranza dei giovani lavoratori. E' invece poco verosimile che siano i "meravigliosi [...] ragazzi italiani che lavorano nella City o nei ristoranti" (cit. Nigel Farage)' a mettere sotto pressione l'NHS; credo anzi che le loro tasse aiutino a sostenere un servizio di cui al momento hanno meno bisogno rispetto alla fascia più anziana della popolazione.
Fabio Viola, 32 anni, Padova, ingegnere, lavora a Londra 

 Essendo immigrato non riesco a capire perché gli inglesi si puntino di voler uscire solo per il fatto dell'immigrazione, non mi sembra giusto, insomma loro importano molti immigrati qualificati, guarda il mio caso, io mi sono istruito ed educato in Italia e poi mi sono trasferito in Inghilterra per lavorare.
Luca Pasetto, 25 anni, di Soave, infermiere da due anni in Inghilterra.

Se faccio un confronto con gli immigrati in Italia e gli immigrati qui c'è un abisso enorme. Gli immigrati in Italia (la maggior parte) sono fuori regola senza documenti senza residenza e per tirare avanti rubano e spacciano droga, poi ci sono anche quelli onesti che cercano di fare una vita dignitosa rispettando le regole MA a differenza di qui in Inghilterra NON vogliono assolutamente integrarsi con la nostra società e infatti non vedrai MAI in Italia un gruppo di persone di nazionalità mista perché ognuno sta con i propri connazionali e purtroppo in Italia si tende a privilegiare noi piuttosto che gli stranieri (anche se poi nemmeno noi siamo privilegiati anzi ultimamente la situazione è capovolta e questo crea soltanto che razzismo incondizionato). Qui in Inghilterra ho trovato la situazione completamente opposta e ho visto di persona che la maggior parte delle persone che si sono trasferite qui vogliono lavorare voglio far famiglia vogliono contribuire all'interno della società e cercano di integrarsi chi meglio chi peggio ma comunque come se fossimo tutti dello stesso posto. Se prendo un taxi e l'autista è pakistano non mi sento in agitazione o che devo stare attento quando purtroppo in Italia spesso e volentieri mi sono trovato in difficoltà o addirittura in pericolo con molte persone che venivano dalla stessa parte del mondo. In Inghilterra c'è un miscuglio di nazionalità che poi si incastra perfettamente mentre in Italia ognuno sta per i fatti suoi e gli italiani inevitabilmente fanno di un erba un fascio (se la maggior parte delle persone provenienti dal Marocco non vogliono integrarsi con la nostra cultura poi al primo episodio di un marocchino che ruba o addirittura uccide, tutti automaticamente associano tutta la comunità a quel singolo elemento). 
Daniel Grandesso, veneziano, barista, lavora a Leeds 

Molti inglesi non accettano gli immigrati per il fatto che “rubano” il lavoro ai nativi, ma ignorano il fatto che ormai non possono fare più a meno degli immigrati. Non conosco bene altre situazioni, ma dove lavoro io circa il 30% del personale è straniero, ed hanno assunto stranieri perché è difficile trovare inglesi qualificati nel mio settore, il modo di lavorare di uno straniero è differente. Lavorando sia con inglesi che con stranieri, mi sono accorta che gli inglesi sono meno produttivi, non fanno un’ora di straordinario, fanno il minimo indispensabile. Un’azienda che vuole crescere quindi cercherà di assumere persone che lavorano sodo e se queste sono straniere non si farà certo problemi
Chiara Boldo, 28 anni, Marano di Valpolicella, lavora a Leeds 

Gli immigrati coprono posti che gli inglesi non vogliono o non sono predisposti a fare (es. fra tutti il lavoro di infermieri e ostetriche)
Marta Barlese, Treviso, lavora a Leeds in un'azienda di import di prodotti italiani 

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