Dopo mesi di inattività, in cui a Verona è successo di tutto ma
dove non trovavo nulla di davvero interessante da aggiungere, rieccoci
qua. Tempo di bilanci, in questa fase di passaggio dell'anno, ma lo sprone a
tornare a scrivere su questo blog me l'ha data un articolo (invettiva? sfogo?)
sul fatto quotidiano, dal titolo senza appello: "Verona agli occhi di uneuropeo: solo rassegnazione e inerzia culturale". Riassunto, poi, sui
social network con l'epitaffio: "Verona è morta". L'ho letto e, a una
prima scorsa, l'ho trovato piuttosto banale e superficiale, condito per altro
di diverse palesi esagerazioni, come questa:
Guai a sbocconcellare un panino sui gradini della Gran Guardia o bere una birra ridendo per la strada dopo la mezzanotte, i vigili urbani arrivano subito
Poi, però, ho visto che in tanti commentavano,
condividevano. Ho riflettuto, concludendo che evidentemente l'articolo ha
toccato le corde di tanti. E, a quel punto, ho pensato che in effetti questo
articolo lo avrei potuto scrivere anch'io. Non oggi, ma quindici anni fa.
Verona è morta quindi? Per certi versi, per me,
lo è sempre stata.
Finite le superiori, Verona mi stava
stretta. Una gabbia, dove mi sentivo costretto, che non mi faceva respirare.
Ascoltavo musica che qui non si trovava, leggevo libri di cui qui non si
discuteva, volevo conoscere e frequentare persone che qui non esistono, o se
esistono sono ghettizzate. Per non parlare dei locali: mi sembrava che l'unica
forma di divertimento codificata fosse l'aperitivo e la discoteca, due riti (in
particolare il secondo) che non ho mai celebrato. Così, come tanti, me ne sono
andato. Tornandoci, a malincuore, dieci anni dopo, pensando all'ennesima
parentesi provvisoria di una vita, la mia, che mi immaginavo pienamente
realizzata altrove: Londra, New York, oppure - abbassando le ambizioni - Milano
o Roma. Ma in Italia, diceva tempo fa Flaiano, non c'è nulla di più definitivo
del provvisorio, e così è stato per me. Eccomi ancora qua, ormai radicato,
veronese come non lo sono mai stato prima, quasi senza accorgermene.
L'errore più grande, per chi torna a Verona, è
cercarvi le cose che sai non esserci, perché sono quelle che ti avevano spinto
ad andartene. E' un errore che ho cercato di non commettere (non sempre
riuscendoci). E nel frattempo, ho imparato ad apprezzare cose che un
tempo, per snobismo, non vedevo. L'ho fatto grazie in particolare a chi, a Verona,
è venuto a viverci da altre città. Chi me l'ha fatta scoprire accogliente
quando a me pareva fredda e chiusa. Chi mi ha fatto apprezzare il carattere
semplice dei veronesi, che ne fa - proprio per questo - persone meno
provinciali di quanto si dica. E le osterie, che qui sopravvivono come
forma di socialità interclassista. E il tifo, che è religione e goliardia
assieme. E tante altre piccole cose, che insieme non fanno New York, Londra o
Bruxelles. Ma che fanno una città dove vivere è un compromesso accettabile tra
le proprie ambizioni (le mie, almeno) e la voglia, dopo tanto girovagare, di
mettere radici. Anche perché, com'è noto, è oggettivamente una bellissima
città.
Ma questa bellezza sta diventando il ricco decoro di un funerale che, anno dopo anno, si sta consumando: Verona rischia di spegnersi, lentamente ma inesorabilmente
Verona è peggiorata negli ultimi anni? SI sta
spegnendo? Non saprei. Certo, questa è una città che aveva cullato l'illusione
di essere un'isola felice nel grande mare in tempesta della crisi italiana,
un'illusione che ha cullato anche l'amministrazione comunale (che per altro
pare godere di grandi consensi), almeno a vedere i grandi progetti in cui si è
imbarcata. Da qualche tempo, non è più così. La malattia è arrivata anche qui,
e porta rabbia, rassegnazione, depressione. Chi ha un lavoro ha paura di
perderlo, chi non ce l'ha sa che non può trovarlo. Se i vecchi locali chiudono
(ma altri, nel frattempo, aprono) è anche e soprattutto per questo.
Un europeo a Verona rimane incantato dalla sua bellezza ma sbalordito dall’inerzia culturale in cui sta scivolando
Detto che io mi sento a tutti gli effetti europeo
pur essendo veronese, la cultura - propriamente detta - è qualcosa per cui
questa città non ha mai brillato. Per una mostra di Monet in Gran Guardia, c'è
una cronica carenza di iniziative di largo respiro, su cui sarebbe necessario
puntare non solo per stimolare un turismo di qualità, ma anche per creare nuovi
spazi di aggregazione per chi a Verona ci vive, che non siano i soliti triti e
ritriti bar di piazza Erbe. Più che la presunta repressione della joie de vivre da parte di Tosi (è il passaggio per
me più enigmatico dell'articolo), mancano idee e mancano spazi. E quello che a
me sbalordisce, semmai, è la povertà del dibattito pubblico in città, e di
questo al sindaco (i cui meriti e le cui colpe non voglio in questa sede
affrontare) si può imputare solo di averne approfittato per puntellare il suo
potere.
Un europeo a Verona vorrebbe aprire la finestra della città sull’Europa per farvi entrare un po’ di quella modernità, entusiasmo e dinamismo che stanno caratterizzando altre città europee al fianco delle quali Verona merita di stare.
La domanda, in definitiva, è una e una sola:
Verona merita di più? Facile rispondere di sì, troppo facile. Io credo che
Verona meriti quello che ha, e forse ha di più di quello che merita. Ha un
passato meno cosmopolita di quanto ritiene il giornalista del Fatto, essendosi
trovata nella spiacevole posizione di confine dell'impero (austriaco) prima di
diventare snodo di corridoi europei che oggi non ci sono e forse mai ci
saranno. Penso che abbia un grande potenziale inespresso, ma che per colmarlo
non bastiamo noi veronesi: serve sempre più gente che viene da fuori, che resti
a vivere qua dopo l'Università, che ci venga per lavorare, che crei una domanda
di servizi che oggi, semplicemente, non c'è. Il futuro, per me, non è
conservazione, ma contaminazione. Non è un sindaco illuminato (se mai ci sarà),
ma una città che chiede, anzi pretende, cose che oggi non sono
nell'agenda.
Io comunque, tutto sommato, qui sono
contento di viverci, pur cosciente dei tanti limiti che questa prospettiva
offre . A differenza di quanto diceva Shakespeare in Romeo e Giulietta, c'è
tutto un mondo fuori dalle mura di Verona. E meno male.